L’Abbazia di Badia Petroia
Abbazia benedettina in stile romanico del X secolo d.C.
Badia Petroia > L’Abbazia S. Maria e S. Egidio
Breve storia dell’Abbazia di Santa Maria e Sant’Egidio a Badia Petroia
La nascita
L’Abbazia di Badia Petroia nacque nel X secolo d.C., in un arco temporale tra il 960 e 972, quando i monaci benedettini iniziarono la costruzione del monastero e della chiesa su commissione dei Marchesi del Colle (che avrebbero poi assunto il prenome Bourbon), in particolare per conto di Ugo dei Marchesi di Colle.
Un documento datato 972 d.C. e conservato nel monastero di Badia a Passignano (Firenze), riporta una donazione di Guido dei marchesi Bourbon, figlio di Ugo, verso il “monastero di Santa Maria di Petruvio”, che quindi era già attivo.
Il materiale prevalente con cui venne realizzata l’abbazia è la pietra (diversi storici associano il nome Petroia/Petruvio alla pietra, per l’appunto). Ma oltre alle pietre, sono moltissimi gli elementi che troviamo:
- Pietra serena
- Marmo
- Granito
- Capitelli
- Lastre funerarie
- Formelle in terracotta e pietra
- Graffiti
Da qui sorgono domande interessanti: la struttura fu realizzata con materiali recuperati da antichi templi pagani in rovina? Oppure, l’abbazia fu edificata sopra uno di essi?
Il massimo splendore
Tra il 1200 e il 1300 il monastero raggiunse il massimo splendore e un’espansione territoriale vastissima compresa tra le città di Cortona, Città di Castello, Gubbio e Perugia, e venne anche ristrutturato.
In questo periodo storico il peso politico dell’abate divenne notevole. Con una serie di trattati il monastero si accordò con:
- Perugia (1202)
- Città di Castello (1204)
- Cortona (1226)
per ottenere protezione in cambio di un tributo (a carico del popolo). Così facendo il monastero ottenne protezione militare da sfruttare nel momento del bisogno e allo stesso tempo per “prevenire” possibili invasioni da parte di queste potenti città.
Il ridimensionamento e la dismissione del monastero
A seguito di numerosi terremoti, all’inizio del 1400 la chiesa venne ridimensionata alle dimensioni attuali. Il successivo periodo segnò la decadenza del complesso, che non potendo più mantenersi chiuse nel 1571, dopo sei secoli di vita. Successivamente:
- Il monastero venne dato in concessione alla chiesa di Santa Maria Maggiore di Città di Castello
- Circa 200 anni dopo, papa Pio VI concesse la proprietà ai fratelli Giovanbattista e Tommaso Rossi in enfiteusi
- La famiglia Rossi riscattò i beni interessati con una somma in denaro
La chiesa
La chiesa di Badia Petroia è in stile romanico con influenze di area ravennate, di forma rettangolare, con imponenti absidi rivolte a est (consuetudine benedettina). Durante gli anni di massimo splendore la chiesa presenta una struttura di notevole grandezza, con misure eccezionali per l’epoca e il luogo.
Le facciate
La facciata esterna in pietra è coeva al resto delle murature perimetrali della chiesa, databili alla prima metà dell’XI secolo. Fanno parte della facciata:
- Arco a tutto sesto in pietra serena sagomata che si trova sopra l’ingresso dell’atrio
- Mensole sporgenti (forse supporto per teli, sostegni per strutture di riparo per i non ancora battezzati fuori dalla chiesa)
- Colonnine con capitelli romanici (parte di un piccolo protiro pensile)
- Formella in pietra scolpita in bassorilievo
È delimitata esternamente da due massicci pilastri e scandita verticalmente da quattro strette lesene, che percorrevano anche gli altri muri perimetrali ed erano interrotte in alto da una cornice a denti di sega e archetti in cotto (visibili nel tiburio e all’interno sotto la copertura a capriate).
La facciata attuale della chiesa venne costruita nel XV secolo con pietre e materiali di recupero, dopo numerosi terremoti che danneggiarono l’edificio. Nella facciata sono presenti:
- Fori, probabilmente utilizzati per installare le impalcature di costruzione e poi non richiusi (un’altra ipotesi: prese d’aria per la “respirazione” dell’edificio)
- Formelle in terracotta con motivi lineari, nodi incrociati, grifi, inserite nelle mura ai lati dell’ingresso della chiesa
- Rosone con vetro sostenuto da telaio in ferro con le iniziali di Maria
L’atrio e le navate
Nella sua struttura originale la chiesa era composta da tre navate:
- La navata destra, le cui prime 4 campate fanno parte dell’attuale atrio
- La navata centrale, con le prime 4 campate che sono la parte principale dell’atrio odierno e il resto che è la parte di chiesa riservata ai fedeli fino al transetto
- La navata sinistra, utilizzata nel XV secolo fino al transetto per la costruzione di due case coloniche
L’enorme atrio attuale è costituito:
- Da quella che era la parte iniziale della navata centrale, riservata durante le funzioni ai fedeli battezzati
- Dalla parte iniziale di quella che era la navata destra
Presenta un pavimento in pendenza e ai giorni nostri non ha copertura, poiché gli eventi sismici che si sono succeduti nei secoli hanno fatto cedere il tetto.
I pilastri ottagonali di influenza ravennate presenti nell’atrio non sono costruiti con un blocco unico, ma sono formati da blocchi in pietra arenaria sormontati da bassi capitelli e privi di basamento.
Entrando nell’atrio, sul capitello della prima colonna a destra (che è inglobata nei resti del campanile), si trovano incise le lettere S Q S separate da triangoli. L’incisione sta a significare “Sum Qui Sum” (“Io sono colui che sono”) ed è riferita all’episodio biblico del “roveto ardente” e al dialogo tra Dio e Mosè.
Sempre nella parte destra dell’atrio si trova una passaggio murato. Si trattava sicuramente della porta che in passato collegava la chiesa al chiostro del monastero (utilizzata anche per l’ingresso dell’abate e degli officianti per le funzioni religiose).
La chiesa attuale
La chiesa attuale, unica parte officiata, è costituita da quello che era il coro dei monaci, rialzato rispetto alle prime 4 campate destinate ad ospitare i fedeli, e dal presbiterio, ulteriormente rialzato rispetto al coro dei monaci.
Le arcate che dividevano la navata centrale dalle due laterali furono tamponate (chiuse) ridimensionando la struttura alla sola navata centrale, fatto che rende la chiesa “ad aula unica“. Quest’ultima è suddivisa in 3 campate da colonne (che erano inglobate nei muri di tamponamento delle arcate e che furono poi, fortunatamente, liberate da interventi dell’inizio dello scorso secolo), da cui partono archi a tutto sesto. Le quattro colonne sono poste su quattro basi di altezze diverse e hanno 3 capitelli romanici e 1 dorico (pezzi di reimpiego di struttura e materiale diversi).
Nei muri che riempiono le campate di destra sono presenti delle formelle in pietra scolpite in cui figurano motivi geometrici, zoomorfi e fitomorfi. Molto particolare la formella scolpita con le due sirene con pesci e quelle che raffigurano i grifi (rappresentanti con artigli non solo sulle zampe anteriori, ma su tutte e quattro le zampe). Queste formelle in pietra potrebbero essere state parte dell’edicola posta sopra l’arco di ingresso, precedentemente descritta, in seguito crollata per eventi sismici, e sono di diversa datazione rispetto a quelle reimpiegate in facciata.
Sul muro di sinistra sono presenti i resti di due affreschi firmati dal pittore “Andrea” e distrutti durante i lavori di scrostatura eseguiti nel 1935.
Alle pareti troviamo affissi due quadri di grandi dimensioni che raffigurano la Vergine Maria e Sant’Egidio. L’iconografia permette di identificare il Santo con l’abate eremita Egidio di Arles.
Infine, vediamo il magnifico arco di valico a sesto oltrepassato in pietra con mattoni in cotto, risalente i primi anni del 1400. L’intervento fu eseguito probabilmente al momento della costruzione del muro di divisione.
Il transetto e le absidi
Il transetto rappresenta la parte più alta della costruzione e non è sporgente dalle navate laterali. In passato era riservato a chi officiava le funzioni. In epoca contemporanea è stato rialzato di un gradino durante i lavori di consolidamento.
All’incrocio tra transetto e navata centrale si intuisce come fosse stata progettata la realizzazione di una cupola, di cui si vede il tamburo quadrato e sotto uno pseudo-loggiato, o pseudo-loggiato triforo (che riprende il motivo del protiro pensile che doveva trovarsi in origine in facciata) e delle colonnine di pietra con capitelli cubici preromanici.
A destra, a otto metri da terra, vediamo una piccola finestra (ora chiusa) che fu realizzata durante l’innalzamento della navata destra per permettere alla famiglia Rossi di assistere alle funzioni religiose.
Le 3 enormi absidi, tipiche dello stile benedettino, specialmente nella loro vista esterna, sono il biglietto di presentazione di Badia Petroia e sono riprese in moltissime foto turistiche e “promozionali”. Si presentano in tutta la loro imponenza, con circa 20 metri di altezza.
L’abside centrale dove risiede l’altare è tra le più grandi e belle espressioni dell’arte romanica in Umbria. Troviamo una finestra con arco di protezione di stile accomunabile al bizantino-ravennate (anche nelle absidi laterali si trovano piccole finestre con arco in pietra e cotto).
Sul pilastro sinistro dell’abside centrale si trova murata una lapide funeraria di epoca romana, riconducibile allo stile usato per le tombe costruite lungo le strade principali dell’Impero.
Attualmente l’abside a sinistra ospita il coro parrocchiale che solennizza le funzioni religiose.
Nell’abside a destra risiede il tabernacolo e sono stati collocati alcuni capitelli databili 1100. Inoltre, nella stessa abside si trova la sacrestia. Sull’architrave della porta si trova inciso in bassorilievo lo stemma della casata Bourbon, mentre all’interno si trova un antico ciborio con raffigurato lo stemma della potentissima famiglia locale Bufalini, altra casa in passato benefattrice del monastero.
Il campanile e le campane
I resti del campanile a pianta quadrata si trovano subito a destra entrando nell’atrio. Era alto il doppio dell’altezza del muro frontale e fino alla costruzione della torre nel 1393 era di fatto la fortezza del paese. Un terremoto nel 1917 lo danneggiò seriamente e la parte più alta fu demolita nel 1919 perché pericolante.
Alcuni studiosi sostengono un’interessante ipotesi, cioè che la facciata fosse impostata in base a modello del Westbau, ovvero con due campanili ai lati, di ispirazione mitteleuropea.
La campane furono fuse dal maestro Tubia di Cortona nel 1330 e 1334. Nel 1798 durante le campagne napoleoniche in Italia, gli abitanti del paese di Badia per paura che fossero sequestrate e portate in Francia le seppellirono in aperta campagna con un vero e proprio rito funebre.
Rimesse al loro posto sono state nel campanile fino alla sua dismissione, e dopo vari spostamenti tra strutture interne e esterne alla chiesa, dal 1980 si trovano a fianco della casa parrocchiale ospitate da una struttura in ferro realizzata dagli artigiani Bellucci e Rossini di Badia, e donata dalla Pro Loco.
La cripta
La cripta dell’Abbazia è classificabile come una cripta triabsidata a oratorium voltata a crociera e divisa in navatelle. Le volte a crociera si impostano su alto abaco e ricadono su pilastri e colonne, invece nella curva interna dell’abside maggiore ricadono su mensole. Nelle absidi minori le volte sono a calotta.
La cripta venne utilizzata come cantina fino agli anni ’70 del 900. È verosimile che fosse stata adibita a questo utilizzo dalla famiglia Rossi, dopo l’acquisto dei beni concessi dal papa. Negli anni ’70 fu quindi reintegrata alla chiesa dalla Sovrintendenza alle Belle Arti di Perugia.
Nel 1994, dopo terremoti e conseguenti lesioni, colonne e pilastri vennero ingabbiati con strutture in ferro a sostegno della volta. Purtroppo attualmente la cripta è inagibile e chiusa al pubblico. A livello burocratico, la cripta è una proprietà del Ministero dei Beni Culturali e non della Diocesi di Città di Castello come il resto della chiesa.
Alla cripta era possibile accedere da due ingressi posti presso le navate laterali. A seguito della costruzione delle case coloniche negli spazi della navata sinistra, l’unico accesso rimasto è quello dalla navata destra. Il paramento murario della cripta, in conci di forma irregolare e medie dimensioni e grossi blocchi di pietra impiegati nelle lesene laterali e negli angoli, è in perfetto accordo con le murature perimetrali dell’edificio.
Nell’ambiente che collega la chiesa alla cripta sono conservati ed esposti vari reperti:
- Una statuetta che potrebbe rappresentare un Cristo Pantocratore
- Alcune mensole figurate datate 1100/1200 appartenenti al chiostro che vennero rinvenute nel 1955 durante i lavori di ripavimentazione del transetto. La più caratteristica fu poi rubata nel 1965
- I frammenti di formelle fittili e lapidee ritrovati durante i lavori, alcune pertinenti alle formelle in loco, altri pertinenti a formelle andate perse
L’ingresso della cripta è sormontato da un arco in pietra ed entrando si possono subito notare le volte con pianta quadrata e a sesto rialzato.
Le colonne sono di vari materiali:
- Travertino
- Granito
- Pietra arenaria
Hanno altezze e diametri differenti e poggiano su dadi seminterrati o su blocchi di pietra quadrati (una poggia su un basamento a campana). Così come le colonne sono tutte diverse, anche i capitelli sono ionici, corinzi e di altro tipo. Collocandosi in epoche diverse, si rafforza l’idea che durante la costruzione dell’abbazia siano stati usati materiali prelevati da altre strutture presenti in precedenza nei pressi di Badia.
Nella cripta è presente anche una lastra in pietra scolpita in bassorilievo con rappresentata “la palma dell’abbondanza”.
È interessante constatare come le colonne, all’apparenza così leggere e instabili, abbiano retto per molti secoli gran parte del peso del transetto. I lavori di consolidamento che hanno riguardato la chiesa nei primi anni 2000, hanno consentito anche di assestare il pavimento del transetto inserendo un’apposita struttura che ha di fatto annullato il peso che in precedenza gravava sulle colonne della cripta.
La speranza di ogni abitante di Badia e di ogni appassionato di arte e di storia, è di rivedere quanto prima la cripta nella sua forma migliore, restituita al pubblico in tutta la sua bellezza.
Il monastero
Il monastero dove risiedevano i monaci benedettini si trovava a fianco dalla chiesa, con il chiostro accessibile dalla navata destra (dal passaggio descritto in precedenza) o da un ingresso frontale separato. Le costruzioni edificate all’interno delle mura ospitavano quindi le celle dei monaci.
A seguito della concessione papale, avvenuta nel 1781, i locali del monastero divennero l’abitazione della famiglia Rossi. Il tutto è rimasto sostanzialmente immutato fino ai giorni nostri con:
- Il bellissimo giardino
- Il pozzo
- Il muro di recinzione
- Quello che era un edificio di collegamento tra il paese e il monastero stesso
La donazione del papa è certificata anche da una lapide tutt’ora conservata in sicurezza all’interno dell’ex convento. Nell’iscrizione figura peraltro per la prima volta la denominazione “S. Maria e S. Egidio” come nome del complesso religioso.
La striscia di terreno che costeggia le mura fuori dal giardino (l’ex-monastero) era sicuramente adibita a cimitero del monastero. Infatti, numerosa ossa umane furono rinvenute a metà ‘900 durante le operazione per piantare i lecci tuttora presenti.
Fonti
- La vera storia del monastero di Petroia, 1986, Don Giuseppe Franchi
- Badia Petroia nella sua arte, nella sua storia, 2017, Francesco Grilli
- Analisi architettonica della Badia di Santa Maria e Sant’Egidio di Badia Petroia, in “Pagine Altotiberine”, XXIII, 65/66, 2019, pp. 41-68, Lucilla Baldetti
- Tesi di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte dal titolo La Badia di Santa Maria e Sant’Egidio di Petroia, Università degli Studi di Firenze, a.a.2015-2016, Lucilla Baldetti, relatore Prof. Guido Tigler, correlatore Prof. Fulvio Cervini
Risorse utili e approfondimenti
- Analisi Architettonica Abbazia Badia Petroia, Lucilla Baldetti, Pagine Altotiberine, n. 65-66, Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere
- Parallelismi simbolici e teologici con il mondo Ortodosso, Francesco Fulvi, Licenza Teologia Interconfessionale, Pontificia Università Lateranense
- L’influenza delle arti minori di epoca sasanide nelle formelle fittili e lapidee della Badia di Santa Maria e Sant’Egidio di Petroia, Lucilla Baldetti